04/13/2018 La premier britannica Theresa May ha ordinato di spostare i sottomarini nel raggio d’azione missilistico per un’eventuale azione contro il regime siriano che “potrebbe cominciare già giovedì notte”. Lo riferisce il Daily Telegraph, aggiungendo che May ha convocato per ieri una riunione di gabinetto di emergenza. La premier non ha ancora preso una decisione definitiva sulla partecipazione di Londra a un intervento con gli alleati, ricorda il giornale, ma fonti governative affermano che sta “facendo tutto il necessario” per essere pronta a farlo.
Passare dal Parlamento o dare il via alla missione di rappresaglia contro l’utilizzo di armi chimiche in Siriasenza sentire il parere dei parlamentari? Le democrazie occidentali alle prese con la guerra si trovano spesso di fronte a questa decisione, e a Londra in particolare la scelta pesa.
Perché le pressioni sul governo sono già molto forti, perché c’è la ferita irachena che non si vuole rimarginare – anzi, appena si parla di dittatori e di interventi militari sanguina – e perché nel 2013, quando l’attacco al regime di Bashar el Assad era imminente (lo voleva il presidente americano, Barack Obama, dopo la strage chimica che uccise 1.300 persone) e gli aerei da guerra erano già pronti, il Parlamento bocciò l’operazione proposta dall’allora premier David Cameron.
L’America stava già cambiando idea
L’America stava già cambiando idea, restava prontissima soltanto la Francia di François Hollande (con una telefonata notturna, Obama gli disse: ferma tutto, blitz anti Assad abortito), e il voto contrario dei parlamentari britannici congelò lo slancio militare e umanitario, che non si sarebbe mai più ricostituito. Fino a ora: Theresa May appare cauta, forse un pochino recalcitrante, anche se Downing Street dice che Londra è pronta a fare quel che è necessario.
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