Roth, Monda: un’assurdità che non gli abbiano dato il Nobel Gigante della letteratura americana e mondiale, Philippe Roth e’ morto martedi’ all’ eta’ di 85 anni, sei anni dopo aver smesso di scrivere e senza aver mai ottenuto il premio Nobel al quale era stato piu’ volte. Secondo un’amica dello scrittore, Judith Thurman, citata dal New York Times, la morte sarebbe dovuta a un arresto cardiaco. Dopo mezzo secolo di romanzi che lo hanno reso famoso in tutto il mondo, e due anni dopo la sua ultima opera “Nemesis”, annuncia, nel 2012, che non ha piu’ l’ energia per gestire la frustrazione che accompagna la sua creazione letteraria. Una decisione sempre giustificata negli ultimi anni: “Raccontare storie, questa cosa che e’ stata cosi’ importante per tutta la mia esistenza, non e’ piu’ il cuore della mia vita”, ha spiegato al quotidiano francese Liberation.
“E’ strano, non avrei mai immaginato che una cosa del genere potesse accadermi”. Premiato quasi regolarmente, (nel 1998 il Pulitzer per “Pastorale americana”; il National Book Award nel 1960 per “Goodbye, Columbus” e nel 1995 per “Sabbath Theatre”) e’ stato piu’ volte tra i favoriti per il Nobel senza mai ottenerlo e se ne e’ andato proprio nell’ anno in cui il premio e’ stato sospeso. Un ragazzo moro e dai capelli scuri, nipote di immigrati ebrei dall’ Europa orientale, Philip Roth ha scritto quasi 30 romanzi: racconti provocatori dei costumi della piccola borghesia ebraica americana, satire politiche, riflessioni sul peso della storia o sull’invecchiamento.
Le sue opere sono quasi sempre tra autobiografia e finzione. La sua penna esigente e la sua implacabile lucidita’ sulla societa’ americana lo hanno reso una figura chiave nella letteratura del dopoguerra. E’ l’unico scrittore vivente il cui lavoro e’ stato pubblicato dalla Library of America. In Francia e’ stato inserito nella prestigiosa collezione La Ple’ iade. Nato il 19 marzo 1933 in un quartiere ebraico di Newark, nel New Jersey, figlio di un agente assicurativo, pubblico’ il suo primo libro, “Goodbye, Columbus” nel 1959, dopo alcuni anni di insegnamento della letteratura. La raccolta di notizie gli valse un primo successo, ma anche le prime accuse di antisemitismo.
Un equivoco che tornera’ con “Portnoy e il suo complesso”, pubblicato nel 1969, scandaloso ma gli vale anche il successo immediato e la notorieta’ mondiale. Il giovane protagonista parla senza mezzi termini al suo psicanalista delle fitte della masturbazione e del suo rapporto ossessivo con la madre, l’ America e l’ ebraismo. I rappresentanti della comunita’ ebraica lo considerano tinto di antisemitismo. Altri denunciano la pornografia pura e semplice.
“Amo scrivere di sesso, e’ un argomento importante, ma la maggior parte degli eventi nei miei libri non e’ mai esistita, anche se alcuni elementi della realta’ sono necessari per iniziare a inventare”, spiega Roth in seguito. Alla fine degli anni ‘ 70, influenzato tra l’ altro dal romanziere ebreo americano Saul Bellow, Roth inizio’ una serie di nove libri il cui protagonista era un giovane romanziere ebreo, Nathan Zuckerman, una sua controfigura.
Tra questi romanzi, tre dei suoi piu’ grandi successi: “American Pastoral” (1997), sulle devastazioni della guerra del Vietnam nella coscienza nazionale, “Ho sposato un comunista” (1998) sul maccartismo e “The spot” (2000) che denuncia un’ America puritana e autonoma. “Il complotto contro l’ America”, uscito nel 2004, immagina invece il destino di una famiglia ebrea a Newark, se gli Stati Uniti avessero eletto aviatore Charles Lindbergh, con simpatie filo-naziste, invece di confermare Franklin D. Roosevelt nel 1940.
L’opera, che oscura costantemente la linea di demarcazione tra realta’ e finzione, e’ tornato attuale: molti hanno visto corrispondenze con l’elezione di Donald Trump. Se la politica e la societa’ americana sono state al centro delle opere di Philip Roth, la vecchiaia e la morte hanno ossessionato le sue opere recenti come “A Man” (2006) o “The Reduction” (2009). Nel 2012, annuncio’ di aver rinunciato alla scrittura e spiega che “Nemesis”, pubblicato nel 2010, e’ stato il suo ultimo romanzo.
“Non ho piu’ l’energia per sopportare la frustrazione. Scrivere e’ una frustrazione quotidiana, e non parlo dell’ umiliazione”, spiego’ al New York Times. “Non posso passare giorni a scrivere cinque pagine, e poi buttarle via”. Nel 2014, racconto’ al quotidiano svedese Svenska Dagbladet di aver riletto i suoi 31 libri per “scoprire se avevo perso il mio tempo. Non si puo’ mai esserne certe, sapete”. Il genio letterario, senza figli, ha aggiunto di provare un enorme sollievo: l’ esperienza quasi sublime di non avere piu’ nulla di cui preoccuparsi se non della morte”.
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